È complesso decidere tra liceo, istituto tecnico e professionale. Servono dati concreti e orientamento mirato verso il mondo del lavoro
Inizia tutto da qui, da quei quattordici anni appena compiuti, con un orizzonte più vasto delle mura scolastiche e le prime domande sulla vita “vera” che attende fuori. Eppure, in Italia, scegliere la scuola superiore sembra più un tuffo nel buio che un percorso strategico verso il mondo del lavoro.
Cosa dovrebbe portare a decidere tra liceo, istituto tecnico e scuola professionale? È la passione del ragazzo? L’esperienza di mamma e papà? O dovremmo parlare di dati concreti, prospettive occupazionali, fabbisogni del mercato? Vediamo.
In Italia, il 50% degli studenti sceglie ancora il liceo. Un dato sorprendente, se si pensa che soltanto un terzo di loro troverà effettivamente un lavoro che rispecchi il titolo accademico. È noto, infatti, che le aziende italiane —e non solo — cercano figure tecniche, con competenze concrete, spesso acquisite nei percorsi professionalizzanti.
Ma nonostante il trend, l’istituto tecnico e professionale continua a portarsi dietro l’etichetta di “scuola di serie B”.
Eppure, i dati ci dicono altro.
Secondo un recente rapporto Unioncamere, nel 2023 ben il 61% delle figure professionali più richieste appartiene ad aree che possono essere coperte da diplomati tecnici e professionali.
Parliamo di profili legati all’ingegneria, alla meccanica, all’elettronica, ma anche alla ristorazione e al turismo, settori vitali per l’economia italiana.
Tuttavia, solo il 20% dei genitori sembra percepire l’importanza strategica di questi percorsi, e ciò si riflette sulle scelte dei figli.
Il liceo è spesso la scelta “di default” per molti. Certo, questo percorso apre le porte dell’università, ma questa non è una garanzia di occupazione. Solo il 55% dei laureati italiani trova lavoro entro tre anni dal titolo, e per molti di loro si tratta di posizioni lontane dal proprio ambito di studi. L’università resta u n’aspirazione fondamentale, certo, ma forse dovremmo riflettere su quanto possa diventare un rischio quando non supportata da una scelta chiara e consapevole già dalla scuola superiore.
Basti pensare che tra i disoccupati laureati, il 33% proviene da facoltà umanistiche e artistiche.
Un dato che apre interrogativi sul rapporto tra le scelte formative e il mercato del lavoro: stiamo formando menti critiche, appassionate di letteratura e filosofia, o stiamo creando un esercito di “intellettuali precari”?
La verità sta nel mezzo, ma il liceo non può essere una scelta fatta “per fare contenti i genitori” o per “allungare il tempo della scelta” fino alla maggiore età.
In Italia, l’orientamento scolastico spesso arriva troppo tardi o con informazioni di poco impatto.
Gli incontri tra scuola e aziende sono ancora sporadici, e manca una vera rete tra istituzioni scolastiche e il mondo produttivo. In paesi come la Germania o la Svizzera, il sistema duale permette agli studenti di alternare studio e lavoro già dai 15-16 anni, rendendo la scuola una palestra concreta per il futuro.
Sarebbe così difficile immaginare un sistema simile anche in Italia? Abbiamo aziende che cercano competenze e scuole che le formano, ma manca una visione integrata, un dialogo continuo. L’orientamento diventa così una pratica spesso superficiale, e si perde l’opportunità di fornire ai ragazzi le informazioni giuste per decidere.
Non basta dire “scegli il liceo, poi vedremo”. Bisogna poter dire “scegli il tecnico, e avrai il 75% di probabilità di trovare lavoro nel settore per cui hai studiato entro un anno dal diploma”.
In un mondo dove il mercato del lavoro cambia alla velocità della luce, il sistema educativo deve adeguarsi e non lasciare indietro chi si affaccia per la prima volta a questo panorama complesso. Scegliere la scuola superiore non è solo un momento di passaggio tra infanzia e adolescenza, è un investimento di capitale umano che il Paese non può permettersi di sprecare.
Alla fine, la domanda resta: vogliamo un’Italia di competenti o di “adattabili a tutto”?